Ci sono generi letterari all’apparenza freddi che possono risvegliare nel letto

Ci sono generi letterari all’apparenza freddi che possono risvegliare nel lettore un piacere del testo assimilabile a quello di un romanzo, di una narrazione ricca di personaggi, trame, aneddoti e divagazioni. Questo è quello che succede a chi apre la Bibliografia dei folli di Charles Nodier (1780-1844), scrittore romantico importante sebbene non proprio conosciutissimo, che in questo veloce testo del 1835 passa in rassegna una lista di scrittori quasi dimenticati, tra i quali spuntano i più famosi Francesco Colonna, autore dell’Hypnerotomachia Poliphili, e Cyrano de Bergerac. Nodier chiama per primo questi scrittori «folli letterari»: sono autori mattoidi che riempiono libri e libri di almanaccamenti spesso fuori luogo e deliranti, e che nonostante la sicurezza della propria genialità finiscono in fondo ad archivi e biblioteche eludendo ogni sogno di gloria. In questa Bibliografia dei folli si passa in mezzo a idiomi oscuri creati da semi-analfabeti, processi dell’Inquisizione, cataloghi di oggetti (libri, candelabri, abiti in frisetto nero...), eresie quantomeno divertenti, tutta un’accozzaglia di dettagli biografici, particolarità bibliografiche e frecciate critiche (per esempio a V oltaire) che fanno di questa Bibliografia un racconto sulle stranezze umane. La fortuna di questo testo, finora inedito in italiano, è stata soprattutto postuma: qui guardava Raymond Queneau mentre lavorava a un libro sui «folli letterari» francesi del XIX secolo, e qui guardavano quelli che, come lui e dopo di lui, come ha scritto, sono andati a caccia di «fantasmi che resuscitano, larve che reclamano il loro posto nel Pantheon delle piccole e grandi glorie, ipersconosciuti che pretendono la paramisconoscenza, paramisconosciuti che sfilano a loro volta sulla scena delle Follie Celebri, bacucchi e dementi che mendicano la loro riabilitazione, ingenui e ignoranti che lasciano le loro candidature postume alle varie accademie». Note azzurre 11 Charles Nodier Bibliografia dei folli Introduzione, traduzione e note di Jacopo Narros Quodlibet Note azzurre è una collana digitale a cura di Giuseppe Dino Baldi, Elena Frontaloni, Paolo Maccari www.noteazzurre.it © 2015 Quodlibet srl Macerata, via Santa Maria della Porta, 43 www.quodlibet.it Progetto grafico della copertina: dg Prima edizione digitale 2015 Ebook ISBN: 978-88-7462-925-1 Scribomanie di Charles Nodier di Jacopo Narros Vi è un genere di pazzia (è stato detto autorevolmente) che consiste non già nella perdita della ragione, bensì nella perdita di tutto tranne proprio la ragione. Augusto Frassineti, Misteri dei Ministeri 1. Charles Nodier (1780-1844), autore di narrazioni preromanticamente oniriche e dai toni byroniani, apprezzate tra gli altri da Mario Praz e da Tommaso Landolfi, che di Nodier tradusse due racconti, è uomo erudito e dedito allo studio bibliografico. Lavora come bibliotecario dai diciotto anni, e nel 1824 ricopre la stessa carica presso la Bibliothèque de l’Arsenal; il suo salotto è frequentato da Hugo, Dumas, Nerval. La sua è una vita di libri: «la cosa più deliziosa al mondo dopo le donne, i fiori, le farfalle e le marionette»[1]. E i libri, dalle prime edizioni critiche allestite in giovinezza alla bibliofilia collezionistica che si spinge fino all’età matura, saranno per lui una presenza costante. Nell’introduzione ai Racconti fantastici, pubblicati dalla casa editrice Sonzogno nel 1890, l’autore viene presentato così: colto e profondo nella sua bellissima lingua; [...] il suo stile immaginoso e smagliante abbellì collo studio indefesso e paziente degli antichi e della lingua viva del sedicesimo secolo, pur rimanendo originale. Di lui come filologo abbiamo il Dictionnaire des onomatopées, opera di polso che gli dette fama di eminente teorico. Della sua valentia come romanziere fan fede: I Vampiri, Giovanni Sbogarro, Teresa Aubert, Trilbiz, La fata delle briciole, letti ancor oggi e gustati da chi ha senso squisito del bello[2]. Charles Nodier è un poligrafo. Scrive anche una serie ingente di pamphlet dai temi accattivanti: si va dai trattati sull’uso delle antenne negli insetti a quelli sui fenomeni del sonno, da quelli sul falso letterario a quelli di linguistica. Oltre a quello sui folli letterari. 2. Nel 1835 con la pubblicazione, prima su «Le temps, journal des progrès», e poi sul «Bulletin du bibliophile», in due puntate, di Bibliographie des fous: de quelques livres excentriques, si compie un progetto le cui tracce risalgono almeno al 1829, quando Nodier annota: «Oso dire, del resto, che se c’è ancora al mondo un libro curioso da fare, per quel che riguarda la bibliografia, è la Bibliografia dei folli»[3]. Il testo, finora inedito in italiano, è importante per molteplici ragioni. In primo luogo è un documento che attesta l’interesse per il fenomeno della follia e dell’alienazione mentale associate alla produzione letteraria. A tal proposito, è utile fare subito una distinzione: una cosa è infatti l’interesse per ciò che viene prodotto all’interno dei manicomi, e che spesso viene portato alla luce ad opera di studiosi ed alienisti come Jean- Étienne Esquirol (1772-1840) in Francia e Cesare Lombroso (1835-1909) in Italia; altra cosa è invece studiare gli scritti di autori che non sono mai stati internati negli asiles des fous, ma affetti, prigionieri della propria testa, dalle più varie forme di «monomania» (una traccia figurativa delle quali si ha nei «ritratti di alienati» dipinti dal 1822 al 1823 da Théodore Géricault, passato in cura presso l’alienista Etienne-Jean Georget). L ’alienista Giuseppe Amadei, sulla scia di Lombroso, del quale è allievo, dedica attenzione al lato geniale degli autori «mattoidi», antecedenti dei «folli letterari». Li descrive in questo modo: I mattoidi sono mistici. Han ricevuto rivelazione di un grande vero e lo trasmettono secondo il dover loro all’umanità. [...] Più disgraziati dei matti completi, dei paranoici, di cui rappresentano una forma mite, i quali almeno riposano soddisfatti sugli allori gloriosi, essi non hanno consolazione nel compimento del proprio genio, non hanno pace nella meta raggiunta, tormentati da triste destino al tormentoso lavoro di Sisifo[4]. Nodier parla di monomania nel 1836 in Piranesi: racconti psicologici sulla monomania riflessiva: Io mi azzarderò ad intrattenervi su una specie di monomania che […] agisce in maniera particolare, intima, grave e straziante solo sullo sventurato che ne è affetto; e mi sono preso la grande libertà di chiamarla monomania riflessiva, non avendo nessun filosofo, per quanto ne sappia, pensato a darle un nome[5]. È questa variante «riflessiva» della monomania, per la quale Piranesi, nelle incisioni delle sue Carceri d’invenzione (1745; 1761), si crea «l’incubo della solitudine e della costrizione, della prigione e della bara»[6], che viene a coincidere con lo stato psicologico dei «mattoidi» lombrosiani, e che fa da presupposto alla «scribomania» dei folli letterari. La galleria dei folli «scribomani» della Bibliographie des fous di Nodier comprende autori dell’epoca successiva all’invenzione della stampa: scrittori marginali, illustri sconosciuti che non hanno formato adepti nel diffondere le loro teorie, tramandate solo dalle rarissime, pregiate e costose copie delle loro opere, stampate a proprie spese: piccole stelle di una «storia generalmente occultata della letteratura»[7]. S’incontrano però, in queste pagine, anche personaggi famosi del mondo della cultura, che con difficoltà riusciremmo a inserire dentro un quadro clinico di patologia mentale. I loro nomi sono Francesco Colonna, Guillaume Postel, Simon Morin, Jean Demons, Bluet d’Arbères, Antoine Gaillard; è un ghiotto sottobosco autoriale: un autore celebre del Rinascimento letterario non solo italiano, un sapiente dallo spirito enciclopedico, uno strambo poeta in bilico tra misticismo, occultismo e politica, un eretico bruciato dall’Inquisizione, un illetterato libertino e infine un lacchè. Il piccolo trattato si chiude con la riabilitazione della figura di Cyrano de Bergerac: Nodier, in netto anticipo rispetto all’opera di Edmond Rostand, leva dai suoi scritti il «marchio incancellabile di ridicolo e di disprezzo» impostogli dalle «valutazioni insolenti» di V oltaire. 3. Dopo Nodier, e dopo i lavori di Octave Delepierre (1802-1879) e di Pierre Gustave Brunet (1805-1896), sarà Raymond Queneau (1903-1976) a raccogliere l’eredità degli studi sui folli letterari. Negli anni Trenta, rotti i rapporti con Breton e uscito dal gruppo surrealista, Queneau si chiude infatti nella Bibliothèque Nationale per scrivere un’opera antologica sugli «eterocliti» francesi del XIX secolo: rifiutata da Gallimard e Denoël, entrerà per vie traverse in frammenti nel romanzo Figli del limo del 1938, e finalmente verrà pubblicata postuma come Aux confins des ténèbres: les fous littéraires nel 2002, a cura di Madeleine V elguth. Nel 1956, su un numero che la rivista «Bizarre» dedica ai folli letterari, Queneau scrive: Ci sono così tanti autori validi da leggere e così tanti classici da studiare che possiamo chiederci che bisogno hanno i collaboratori di questa rivista di consacrare un numero speciale a individui che potevamo legittimamente sperare, per l’alleggerimento del peso delle conoscenze, che fossero definitivamente dimenticati[8]. Possiamo fare nostro l’interrogativo di Queneau, pensando anche a quello che già Nodier scriveva nella sua Bibliographie: oggi siamo troppo preoccupati da follie serie, che sono la vergogna se non il terrore dell’umanità, per accordare un’attenzione costante ad aberrazioni senza troppa importanza e poco pericolose, capaci di suscitare non altro che riso e pietà. A cosa servono dunque i libri dei folli letterari, i «testi al quadrato», come la Bibliographie des fous, che trattano di questi libri «senza troppa importanza», e che sarebbe forse meglio «fossero definitivamente dimenticati»? Propongo due risposte complementari. La prima: questi testi possono servire a studiare la costruzione e la ricezione dei canoni nei vari campi del sapere. uploads/Litterature/ bibliografia-dei-folli-charles-nodier.pdf

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